Liberi? Spiati, seguiti, controllati. La lezione di Snowden
Alessandro Nardone per Il Giornale OFF – Sarebbe bello poter scrivere che il copione di Snowden è frutto della fantasia di quel grande regista che è Oliver Stone, e invece no, è tutto vero. Il paradosso di tutta questa storia è che quella messa a nudo dall’ex informatico della NSA (acronimo di National Security Agency) è una verità talmente abnorme da risultare poco verosimile, suscitando l’impressione che l’inconscio dei più tenda a rifiutarla perché, accettandola, costringerebbe loro a mettere in discussione la propria presenza in Rete e nella fattispecie sui Social Networks che, nel quotidiano di molti, sono divenuti l’unico punto di contatto con il prossimo. Certo, a questo va anche aggiunto che, sopratutto alle nostre latitudini, le rivelazioni di Edward Snowden non abbiano praticamente mai conquistato i titoli principali di giornali e telegiornali, fatte salvo le eccezioni (rarissime) che hanno tristemente confermato la regola.
Già, ma cosa emerge dai documenti divulgati da Snowden? Che siamo tutti intercettati. Ciò significa che, in qualsiasi momento e per qualsivoglia ragione, un funzionario dell’NSA potrebbe entrare nel nostro smartphone o spiarci attraverso la webcam del nostro computer, anche se è spento; possono risalire a tutto di noi: telefonate, e-mail, chat, messaggi carte di credito e post sulle bacheche dei nostri social.
Un Grande Fratello orwelliano dal potere pressoché illimitato, che gli fu conferito dal Patriot Act, ovvero l’insieme di norme che l’amministrazione Bush varò sull’onda emotiva di quell’11 settembre del 2001 che, insieme a Pearl Harbor, è la pagina più tragica della storia recente degli Stati Uniti. La versione ufficiale è che il sacrificio della privacy personale sia il prezzo da pagare per la sicurezza nazionale ma, nella realtà, in gioco ci sono questioni assai meno nobili come, ad esempio, il mantenimento del ruolo del Re sullo scacchiere internazionale.
«Voglio essere chiaro, la nostra intelligence continuerà a spiare i governi di tutto il mondo, lo facciamo per conoscere le loro intenzioni, per motivi di sicurezza. I nostri alleati però possono stare tranquilli perché noi siamo dei partner leali», affermò Barack Obama nel corso di un briefing con la stampa alla Casa Bianca il 17 gennaio del 2014 confermando l’incontrovertibilità di quanto rivelato da Snowden poco meno di un anno prima al giornalista del Guardian Glenn Greenwald e alla documentarista Laura Poitras nell’asettica stanza di un hotel di Hong Kong.
Proprio da lì inizia il film coraggiosamente diretto da Oliver Stone, ovvero dal punto di non ritorno che Snowden ha consapevolmente raggiunto ritenendo che la divulgazione della verità valesse ben più della sua stessa libertà. Un atto eroico che, nei fatti, sta già cambiando il corso della storia, basti pensare che lo scorso 24 febbraio Barack Obama si vide praticamente costretto a firmare una legge che estende il diritto alla privacy anche ai cittadini non americani.
Per questo, ormai più di un anno fa, nella mia folle corsa alla nomination repubblicana sotto le mentite spoglie di Alex Anderson decisi di lanciare l’allora inverosimile ticket presidenziale proprio con Edward Snowden, e cioè per mettere il suo nome al centro della campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane. Certo, all’inizio molti tra i sostenitori repubblicani attaccarono Alex definendo Snowden “traditore”, ma il prosieguo della campagna ha fatto sì che Wikileaks, Anonymous e buona parte del mondo vicino alle posizioni di Cincinnatus (il nickname con cui Snowden contattò Greenwald) finisse con l’avvantaggiare Trump grazie alle compromettenti rivelazioni sulla sua rivale Hillary Clinton.
Una certificazione, de facto, che la scelta del ticket Anderson – Snowden fosse tutt’altro che campata per aria ma, al contrario, frutto di un ragionamento politico partito dall’11 settembre e snodatosi lungo il percorso che ha portato alle degenerazioni portate alla luce da Snowden e all’inchiesta ribattezzata Emailgate a carico della Clinton.
Allora, vale certamente la pena andare al cinema e immergersi per due ore e un quarto nelle immagini della pellicola diretta da Stone, e di portarci i nostri figli e i nostri amici perché, come disse Snowden, «affermare che non si è interessati al diritto alla privacy perché non si ha nulla da nascondere è come dire che non si è interessati alla libertà di parola perché non si ha nulla da dire», e sarà bene che ne prendiamo tutti coscienza, prima che sia troppo tardi.